
Salari e potere d’acquisto
Contesto attuale sintetizzato:
Negli ultimi vent’anni (2004-2024), il potere d’acquisto medio in Italia ha registrato una lieve contrazione pari al -0,6%, segnalando una sostanziale stagnazione del reddito reale disponibile.
L’impatto è stato particolarmente marcato per la fascia 50-60 anni, che ha subito una perdita del -3,6%, evidenziando un deterioramento delle condizioni economiche anche per lavoratori con maggiore anzianità e spesso con responsabilità familiari.
Per i giovani tra i 25 e i 30 anni, la situazione è invece di stagnazione pressoché totale, con una variazione negativa del -0,5%, a conferma di un quadro in cui le nuove generazioni faticano a migliorare le proprie condizioni economiche rispetto a quelle precedenti.
Retribuzioni reali in Italia: vent’anni di stagnazione del potere d’acquisto nonostante la crescita nominale
Nel valutare le dinamiche salariali di lungo periodo in Italia, è essenziale spostare l’attenzione dalle retribuzioni nominali, ovvero quelle lorde ed espresse in euro, alle retribuzioni reali, ossia quelle che tengono conto dell’effettivo potere d’acquisto, depurato dall’effetto dell’inflazione.
A tal fine, l’analisi è stata condotta considerando l’indice dei prezzi al consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati (FOI) pubblicato dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica).
Questo consente di valutare con precisione quanto i salari percepiti dai lavoratori siano realmente in grado di sostenere il costo della vita nel tempo.
Il campione: un focus rappresentativo dei lavoratori italiani
I dati derivano dal nostro database, basato su un campione rappresentativo dei lavoratori italiani dipendenti – impiegati e operai – nella fascia d’età tra i 24 e i 60 anni. I dati sono stati infatti riportati all’universo dei lavoratori dipendenti tramite i pesi ricavati dalla Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL) dell’ISTAT.
Il paradosso delle retribuzioni: più salario nominale, meno potere d’acquisto
Nel periodo 2004-2024, le retribuzioni lorde nominali per la fascia 25-60 anni sono aumentate del +45,2%, una crescita che potrebbe sembrare significativa.
Tuttavia, quando si prende in considerazione l’aumento dei prezzi nello stesso arco temporale, emerge un dato allarmante: il potere d’acquisto reale è diminuito del -0,6%. In altre parole, con più soldi in busta paga, oggi si riescono a comprare meno beni e servizi rispetto a vent’anni fa.
Questo fenomeno si spiega con una crescita delle retribuzioni nominali inferiore rispetto all’andamento inflattivo, soprattutto negli ultimi anni, marcati da un’accelerazione generalizzata dei prezzi a seguito della crisi energetica e post-pandemica.
Chi perde di più? Gli over 50 e il trend degli ultimi anni
Il declino del potere d’acquisto ha colpito in modo non omogeneo le fasce d’età, ad esempio i lavoratori tra i 50 e i 60 anni sono i più penalizzati, con una perdita reale del -3,6% sul ventennio.
Al contrario, i giovani 25-30enni registrano una contrazione contenuta, pari al -0,5%, ma anch’essa significativa considerando che non riflette ancora pienamente il peso di carriere discontinue o forme contrattuali più precarie.
Ancor più critico il quadro se si restringe l’analisi agli ultimi anni:
- Negli ultimi 10, le retribuzioni lorde reali sono scese di circa il -2%
- Negli ultimi 5, la perdita supera il -5%, a testimonianza dell’accelerazione della crisi salariale post 2019
Modificati ponderati FOI | Trend 2004-2014 | Trend 2014-2024 | Trend 2021-2024 | Trend 2004-2024 |
tra i 25-30 | 0.4% | -0.8% | -3.5% | -0.5% |
tra i 31-40 | 0.6% | -1.3% | -5.0% | -0.7% |
tra i 41-50 | 0.7% | -1.1% | -4.8% | -0.5% |
tra i 51-60 | 1.2% | -4.7% | -7.7% | -3.6% |
generale (25-60) | 1.1% | -1.8% | -5.3% | -0.6% |
Un quadro sottostimato: l’esclusione della cassa integrazione
È importante sottolineare che queste stime risultano ottimistiche, in quanto non includono i lavoratori in cassa integrazione.
Secondo i dati INPS – Osservatorio sulla “Cassa Integrazione Guadagni e Fondi di Solidarietà” – il numero di lavoratori coinvolti in cassa integrazione si è più che dimezzato dal 2009 al 2019, ma è esploso nel 2020 con la pandemia, senza mai rientrare stabilmente ai livelli pre-Covid.
Di conseguenza, i dati sulle retribuzioni reali non riflettono pienamente il disagio economico di una fetta rilevante della forza lavoro.
Il divario generazionale si riduce, ma non per buone ragioni
Un ulteriore dato interessante riguarda la differenza retributiva tra giovani e senior. Nel 2004, i lavoratori nella fascia 50-60 anni guadagnavano in media il +42% in più rispetto ai colleghi tra i 25 e i 30 anni. Oggi questa forbice si è ridotta al +38%.
Il nostro commento:
Questo è uno dei dati più critici e d’impatto dello studio: la crescita delle retribuzioni nominali non ha tenuto il passo con l’inflazione. La perdita di potere d’acquisto è una realtà per i lavoratori italiani, in particolare per quelli più maturi. La riduzione del divario retributivo tra giovani e anziani, letta insieme alla stagnazione del potere d’acquisto per entrambe le fasce sta a indicare una compressione salariale generale piuttosto che un miglioramento significativo per i giovani.
Divario di genere: il Gender Pay Gap migliora, ma lentamente
Contesto attuale sintetizzato:
Il Gender Pay Gap medio in Italia si attesta al 10,6%, indicando che, a parità di ruolo, le donne guadagnano in media il 10,6% in meno rispetto agli uomini.
Questo divario retributivo si riflette anche nell’Equal Pay Day: per la fascia 25-30 anni cade l’11 dicembre, data simbolica che rappresenta il giorno fino al quale una donna deve lavorare in più, rispetto a un uomo, per ottenere lo stesso reddito annuo. In altre parole, è come se da quella data in poi lavorasse gratuitamente.
Gender Pay Gap: un divario che resiste nonostante i segnali di progresso
Nel 2024, il Gender Pay Gap (GPG), ovvero il divario retributivo di genere, si attesta in Italia, per la fascia di età compresa tra i 25 e i 60 anni, al 10,6%.
Un dato che, pur evidenziando una leggera flessione rispetto al quinquennio precedente, continua a rappresentare un ostacolo rilevante nel cammino verso l’equità retributiva.
Focus impiegati per famiglia professionale. Impiegati (25-60 anni) | GPG |
ICT | 3,8% |
Engineering | 5,5% |
HR | 3,1% |
Operations | 13,5% |
Tale differenziale retributivo varia in modo significativo in funzione dell’età: si riduce al 5,3% nella fascia 25-30 anni, ma cresce progressivamente con l’età, raggiungendo il 16,6% tra i 51 e i 60 anni.
Questa dinamica suggerisce come il divario sia fortemente radicato nelle strutture di carriera e nelle opportunità di crescita professionale che penalizzano le donne man mano che avanzano nel percorso lavorativo.
Equal Pay Day: un indicatore simbolico che racconta una realtà concreta
Un indicatore per visualizzare l’impatto del divario retributivo è l’Equal Pay Day, ovvero la data simbolica a partire dalla quale, a parità di lavoro, le donne “smettono di essere pagate” rispetto agli uomini.
Secondo i dati del nostro osservatorio (basato su un campione rappresentativo della popolazione lavorativa italiana), nel 2024 l’Equal Pay Day cade il 22 novembre per la fascia 25-60 anni.
In termini concreti, ciò significa che, a parità di mansioni, le donne lavorano circa 39 giorni all’anno gratuitamente rispetto ai colleghi uomini.
Le differenze si fanno ancora più marcate se si disaggregano i dati per età:
- 11 dicembre per le lavoratrici tra i 25 e i 30 anni (pari a circa 20 giorni di lavoro “non retribuito”)
- 31 ottobre per la fascia 51-60 anni, che rappresenta quindi il segmento più penalizzato, con circa due mesi di disparità salariale.
Progressi normativi e iniziative per la parità: il ruolo delle istituzioni e delle imprese
Negli ultimi anni, sia a livello nazionale che europeo, si è registrato un crescente impegno istituzionale per contrastare il GPG e promuovere una maggiore equità.
In Italia, un passo significativo è rappresentato dall’introduzione della Certificazione per la Parità di Genere UNI/PdR 125:2022, operativa dal 2022. Questa prassi di riferimento – volontaria ma fortemente incentivata – mira a promuovere trasparenza e accountability nei processi HR, valorizzando politiche inclusive eque e basate sul merito.
Le organizzazioni che intraprendono questo percorso si dotano di strumenti strutturati per misurare e correggere le eventuali disuguaglianze non solo in termini retributivi ma anche in ottica di accesso alle posizioni decisionali, conciliazione vita-lavoro e rappresentanza femminile.
A livello europeo, un’importante svolta è giunta con la Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento Europeo e del Consiglio, emanata nel maggio 2023, che introduce obblighi vincolanti di trasparenza retributiva.
La Direttiva rappresenta uno strumento di enforcement del principio di parità retributiva per lavoro di pari valore, con impatti diretti sulle politiche retributive aziendali.
ODM Insight:
I dati registrano la persistenza di un divario retributivo significativo tra uomini e donne in Italia, che aumenta con l’anzianità lavorativa. Le iniziative legislative e le certificazioni sono passi importanti, ma l’analisi dei nostri dati suggerisce che la strada verso la piena parità è ancora lunga.
Laurea e occupazione
Contesto attuale sintetizzato:
A 5 anni dal conseguimento del titolo di studio, il tasso d’occupazione dei laureati nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) raggiunge il 94%, confermandosi tra i più alti e stabili nel panorama accademico professionale.
Per i laureati nelle aree umanistiche, il tasso di occupazione si ferma al 85%, registrando un calo di circa 3,5 punti percentuali rispetto ai rilevamenti precedenti.
Talento, mismatch e retribuzioni: cosa ci dicono oggi i dati su formazione e occupabilità
In un mercato del lavoro sempre più selettivo, dove la domanda di competenze evolve più rapidamente della capacità del sistema formativo di rispondere, comprendere le dinamiche tra titolo di studio, occupabilità e retribuzione è essenziale per chi si occupa di gestione e sviluppo delle risorse umane.
Occupabilità post-laurea: il vantaggio competitivo delle discipline tecnico-scientifiche
Secondo il Rapporto AlmaLaurea 2025, i neolaureati presentano tassi di occupazione significativamente differenti a seconda del percorso di studi.
Le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), insieme a quelle economiche, medico-sanitarie e farmaceutiche, garantiscono oltre l’80% di possibilità di occupazione.
Un dato che conferma come il mercato continui a premiare la preparazione tecnico-scientifica, fortemente orientata alle competenze applicative e alle esigenze attuali delle imprese.
Al contrario, i laureati in discipline umanistiche registrano tassi di occupazione inferiori del 27%, con un calo rispetto ai rapporti recedenti del -3,5%.
Tendenza che non è nuova, ma assume particolare rilievo in un momento storico in cui il mondo del lavoro richiede un allineamento sempre più preciso tra percorso formativo e fabbisogni professionali.
Mismatch di competenze e calo demografico: il doppio vincolo per le imprese
Il Rapporto Excelsior 2024, elaborato da Unioncamere e ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive per il Lavoro), sottolinea che la difficoltà di reperimento delle figure professionali continuerà a rappresentare una criticità crescente nei prossimi anni.
I motivi sono molteplici: dal declino demografico alla discrepanza tra competenze richieste e quelle possedute dai candidati anche detta “skill mismatch”, fino al cambiamento profondo nelle aspettative lavorative delle nuove generazioni.
Retribuzioni e titolo di studio: il vantaggio STEM si conferma nei primi anni di carriera
Un ulteriore elemento chiave è rappresentato dal legame tra tipologia di laurea e retribuzione, come evidenziato dal Database retributivo ODM Consulting, che analizza l’andamento salariale dei laureati nel mercato del lavoro italiano.
I dati mostrano un divario netto nelle retribuzioni medie lorde annue tra i laureati delle diverse aree disciplinari:
- Laureati STEM: al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro percepiscono in media 812 euro lordi annui, con una crescita fino a 35.870 euro dopo tre anni
- Laureati in discipline economiche: a partire da 342 euro, ma in tre anni raggiungono i 31.900 euro, colmando in parte il divario iniziale
- Laureati in discipline umanistiche: risultano i più penalizzati a livello retributivo nei primi anni, con valori medi inferiori rispetto alle altre categorie
Retribuzioni nominali lorde medie 2024
RBA 25-30 | 26.843 € |
RBA 25-60 | 34.645 € |
Dettaglio lauree: Stem, economiche, umanistiche (1-3 anni) – Focus 2024
Tipologia di laurea | Ingresso | Dopo 3 anni |
Umanistica | 24.400 € | 27.300 € |
Economiche | 27.342 € | 31.900 € |
STEM | 31.812 € | 35.870 € |
Questi dati riflettono non solo la valutazione economica della spendibilità delle competenze, ma anche la capacità delle imprese di riconoscere il valore aggiunto di determinati profili, in termini di produttività e aderenza ai processi aziendali.
ODM Insight:
Il “mismatch” tra competenze richieste dal mercato e quelle a oggi presenti nel mondo del lavoro, unito al calo demografico, rende ancora più sfidante reperire talenti, portando a un aumento delle retribuzioni per le lauree più ricercate (STEM). Tale contesto si aggrava considerando la scelta sempre più diffusa dei giovani di intraprendere esperienze all’estero.
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