
Una storia articolata fatta di aspettative, disuguaglianze e nuove priorità.
Il contesto attuale
20 anni di difficoltà strutturali, alcuni dati:
Il tasso di disoccupazione nella fascia 15-64 anni è passato dal 6% nel 2008 al massimo storico del 13% nel 2014, in piena crisi economica.
Oggi si attesta al 6,6%, segnalando un miglioramento rispetto al picco ma senza ancora aver recuperato del tutto i livelli pre-crisi.
Anche il fenomeno dei NEET, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione, ha seguito un andamento simile: nel 2014 ha raggiunto il 26%, per poi scendere gradualmente fino al 16,6% attuale (dati ISTAT). Nonostante il calo, il dato resta tra i più alti in Europa, indicativo di un problema strutturale nell’inserimento lavorativo e formativo delle nuove generazioni.
Infine, il PIL italiano non ha ancora recuperato i livelli precedenti alla crisi del 2008, confermando una crescita economica debole e discontinua nel lungo periodo.
Retribuzioni, giovani e lavoro: vent’anni di trasformazioni e squilibri
Negli ultimi vent’anni il mercato del lavoro italiano ha attraversato, più di altri, un percorso accidentato, segnato da crisi economiche profonde, eventi globali senza precedenti e trasformazioni strutturali.
Tutti questi fattori hanno inciso in modo significativo su occupazione, salari e condizioni d’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Oggi, infatti, mentre alcuni indicatori mostrano segnali positivi, le cicatrici lasciate da questi passaggi storici sono ancora ben visibili – in special modo per le nuove generazioni.
2008–2014: la crisi che ha cambiato le regole
Tutto è iniziato con la crisi finanziaria del 2008, innescata dalla bolla immobiliare statunitense e dalla massiccia diffusione di prodotti finanziari derivati legati ai mutui. Tra il 2004 e il 2008, i prezzi delle case erano cresciuti di quasi il 30%, spingendo molte banche a concedere mutui ad alto rischio.
Quando la bolla è esplosa, il sistema è crollato: facendo precipitare il settore immobiliare che ha trascinato con sé i mercati finanziari, dando il via a una delle peggiori recessioni del secolo.
L’Italia ha vissuto le conseguenze di questo fenomeno in modo particolarmente severo, infatti tra il 2008 e il 2014 il PIL è diminuito di oltre 9,7 punti percentuali, mentre il tasso di disoccupazione nella fascia 15-64 anni è cresciuto di oltre 7 punti.
Le ripercussioni sono state pesanti soprattutto per i giovani: nella fascia 25-34 anni, il tasso di disoccupazione è salito di quasi 10 punti, portando con sé anche l’indice dei NEET (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano) che ha registrato un’impennata, passando dal 19% al 26%.
Con più disoccupazione e più competizione per i pochi posti disponibili, le retribuzioni hanno iniziato a stagnare, bloccando di fatto la mobilità economica e sociale per chi cercava di entrare nel mercato del lavoro.
2014–2019: stabilizzazione lenta e fragile
A partire dal 2014 si è registrata una modesta ripresa: l’economia ha cominciato a crescere lentamente, accompagnata da un graduale miglioramento del tasso di occupazione, i livelli di disoccupazione hanno iniziato a scendere e anche il numero dei NEET ha mostrato un primo calo.
Tuttavia, la crescita non è stata sufficiente a invertire il trend salariale: i redditi reali sono rimasti stagnanti e non hanno compensato le perdite subite negli anni precedenti, soprattutto per i lavoratori più giovani e per le professioni a bassa qualificazione.
2020: la pandemia come nuovo shock sistemico
Nel 2020, la pandemia da COVID-19 ha colpito l’economia globale con una violenza incredibile e del tutto inaspettata, causando una contrazione del PIL italiano dell’8,9% in un solo anno, alterando negativamente anche i tassi di disoccupazione e di quelli riferiti ai NEET, che sono tornati a salire, interrompendo la fragile traiettoria di ripresa.
Le restrizioni, la trasformazione del lavoro, con il telelavoro e lo smart working come nuovo standard, oltre alla chiusura temporanea di interi settori e l’incertezza diffusa, hanno inferto un nuovo durissimo colpo, aggravando ulteriormente il senso di instabilità e precarietà generazionale.
2021–2024: segnali positivi, ma i problemi restano
Dal 2021, l’economia ha ricominciato a crescere e i dati 2024 si confermano come i migliori risultati occupazionali degli ultimi vent’anni: il tasso di disoccupazione nella fascia 15–64 anni è sceso al minimo storico del 6,6%, mentre quello dei NEET 15–29 anni è arrivato al 16,6%.
Tuttavia, persiste sempre un problema demografico: infatti, mentre la popolazione italiana è cresciuta del 2,4% dal 2004 a oggi, la fascia 25–30 anni ha perso oltre un quarto dei suoi componenti, circa il 26% in meno e, al contrario, la popolazione tra i 51 e i 60 anni è aumentata del 32%.
Questa sproporzione mette sotto pressione l’intero sistema produttivo e previdenziale, ma ha anche implicazioni dirette sulla gestione HR: il recruiting si fa più complesso e il gap di competenze tra giovani e senior, sempre più ampio. Inoltre, vi è necessità di piani di successione, knowledge transfer e strategie di employer branding in ottica intergenerazionale.
Cosa significa tutto questo per le organizzazioni?
Per le aziende, questi vent’anni di transizione implicano una sfida cruciale: ripensare il rapporto con le nuove generazioni di lavoratori, offrendo percorsi di crescita sostenibili, retribuzioni eque e un contesto lavorativo che premi competenze e potenziale, non solo l’anzianità.
Il tema delle retribuzioni non è solo una questione economica, ma culturale: riguarda la percezione di fiducia, equità e futuro che un Paese e un datore di lavoro è in grado di trasmettere ai propri giovani.
Chi saprà affrontare con consapevolezza questa sfida non solo attirerà i talenti migliori, ma costruirà le basi per un’organizzazione capace di competere anche nei prossimi vent’anni.
Italia e mercato del lavoro: un divario strutturale rispetto all’Europa
Nonostante la ripresa economica registrata negli ultimi anni, l’Italia continua a essere il fanalino di coda nel panorama occupazionale europeo, presentando performance inferiori alla media dell’Unione Europea (EU27) su tutti i principali indicatori del lavoro come occupazione, disoccupazione, inattività e incidenza dei NEET.
Occupazione: ultimi in Europa
Secondo i dati Eurostat (2024), l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i paesi EU27 per tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni, con una distanza negativa di 8,6 punti percentuali rispetto alla media europea.
Questi dati mostrano chiaramente una persistente difficoltà strutturale nell’attivare forza lavoro, che si traduce in un impatto diretto sulla produttività e sulla competitività del sistema economico.
Inattività: un’anomalia italiana
Ancora più preoccupante è il dato relativo al tasso di inattività, ovvero la quota di popolazione in età lavorativa che non è né occupata né in cerca di lavoro.
L’Italia detiene il primato negativo in Europa, con un tasso di inattività che supera di 8,8 punti percentuali la media dell’UE. Ciò riflette una serie di problematiche croniche:
- mancanza di politiche attive del lavoro realmente efficaci
- disincentivi al lavoro per alcune fasce (donne, giovani, over 50)
- mancanza di fiducia nelle istituzioni o nel mercato del lavoro
- emigrazione di capitale umano altamente qualificato
NEET: un problema generazionale e culturale
Particolarmente critica è la situazione relativa ai giovani NEET (15-29 anni), ovvero quei ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione. In Italia, la quota di NEET si attesta al 16,6%, con un gap di 5,6 punti percentuali rispetto alla media europea, emerso dal confronto Eurostat e ISTAT.
Questo dato è il sintomo di una disconnessione tra il mondo dell’istruzione, della formazione professionale e il sistema produttivo.
Le implicazioni per il futuro del Paese sono drammatiche: si rischia di compromettere la sostenibilità del mercato del lavoro e di creare una generazione “mancante”, sottoccupata o costretta all’emigrazione.
Disoccupazione: terzo posto, ma in crescita
Anche il tasso di disoccupazione italiano continua a essere superiore alla media europea, posizionandosi al terzo posto tra i Paesi EU27, subito dopo Spagna e Francia. Con un valore di circa 6,6%, l’Italia supera di 0,6 punti percentuali la media UE.
Da segnalare che il dato nazionale è trainato negativamente da forti divari territoriali: nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione giovanile supera il 30%, mentre nel Nord si attesta su valori in linea con la media europea.
Il nostro punto di vista
Il quadro storico delineato evidenzia la vulnerabilità del mercato del lavoro italiano agli shock economici globali, inoltre mette in luce la correlazione tra l’aumento della disoccupazione e la pressione al ribasso sulle retribuzioni, in egual misura anche per i giovani.
Nonostante la recente ripresa, l’Italia è presentata come il “fanalino di coda” in Europa (EU27) per diversi indicatori chiave: di fatto, si posiziona all’ultimo posto per tasso di occupazione, 62,2% contro una media EU27 del 70,8% e al primo posto per tasso di inattività al 33,4% contro il 24,6% europeo.
Allo stesso modo, anche il tasso dei NEET (16,6% contro 11%), è significativamente superiore alla media europea.
Questo confronto sottolinea sfide strutturali profonde nel mercato del lavoro italiano, che vanno oltre le fluttuazioni cicliche, talvolta gravi e inaspettate. L’alto tasso di inattività e NEET, in particolare, indica una potenziale riserva di forza lavoro che non riesce a inserirsi o viene disincentivata a farlo.
Conclusioni: verso un approccio sistemico e data-driven
Il quadro delineato in questa analisi evidenzia come la situazione occupazionale italiana, caratterizzata da vent’anni di turbolenze economiche e trasformazioni strutturali, richieda un approccio multidisciplinare e costantemente aggiornato per essere compresa e affrontata efficacemente.
I dati ISTAT, che costituiscono il riferimento statistico ufficiale per l’analisi del mercato del lavoro nazionale, forniscono un framework quantitativo indispensabile ma necessitano di essere integrati con strumenti di ricerca specializzati per cogliere le dinamiche più profonde che caratterizzano l’inserimento lavorativo delle nuove generazioni.
In questo contesto si inserisce DEDALO – Laboratorio permanente sul fenomeno NEET – un progetto che accende un faro continuativo e sistemico per studiare e comprendere le cause profonde dell’allontanamento dei giovani dai percorsi scolastici, formativi e dal mondo del lavoro, mappare e far conoscere le progettualità attivate nei territori e stimolare iniziative di contrasto e prevenzione. L’iniziativa, promossa da Fondazione Gi Group, si avvale del nostro contributo scientifico e metodologico.
Il valore aggiunto dell’Osservatorio Dedalo risiede nella sua capacità di integrare l’analisi e la rielaborazione quantitativa dei dati ISTAT ed EUROSTAT con una metodologia di ricerca qualitativa che permette di mappare le progettualità territoriali e di stimolare policy innovative per il contrasto al fenomeno NEET. Questo approccio metodologico ibrido, infatti, consente di superare i limiti dell’analisi puramente statistica, fornendo una lettura più articolata e operativa delle dinamiche occupazionali giovanili.
Guida questo processo di ricerca e studio Rossella Riccò, Senior HR Consultant e Responsabile Area Studi e Ricerche di ODM Consulting, figura di riferimento per l’attività di analisi e interpretazione dei dati nel campo delle risorse umane e del mercato del lavoro, Responsabile del Centro Studi di Fondazione Gi Group.
La sfida che attende le organizzazioni nei prossimi anni non è rappresentata solo dalla semplice acquisizione di nuovi talenti, ma richiede una comprensione sistemica delle dinamiche generazionali, delle aspettative professionali e dei modelli di sviluppo sostenibile che possano conciliare competitività aziendale e benessere delle nuove generazioni.
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