Gender Gap, la strada verso la parità




Per le aziende di tutto il mondo, quello di maggio è stato un mese simbolico, ricco di ricorrenze dedicate al lavoro, ai diritti, alla cultura e all’equità; si celebrano infatti le giornate dei lavoratori e delle lavoratrici (1° maggio), delle famiglie (15 maggio), contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (17 maggio), della diversità culturale (21 maggio) e della legalità (23 maggio).

È il mese ideale per riflettere e agire concretamente sul tema delle diversità, dell’equità e dell’inclusione con un approccio strategico.  Noi di ODM Consulting vogliamo quindi proporre uno spunto di riflessione su una delle problematiche ancora diffuse nel nostro Paese: il Gender Gap.

Infatti, anche nel mondo del lavoro, il raggiungimento della parità di genere è più che mai fondamentale per le imprese che vogliono essere sostenibili, attraenti e future-oriented.

 

Cos’è il Gender Gap?

Il Gender Gap, o divario di genere, è un concetto che descrive l’insieme delle disparità tra uomini e donne in diversi ambiti della vita economica, sociale, politica e culturale.

Secondo il WEF (World Economic Forum), stando alle condizioni attuali di mercato, il raggiungimento della piena parità fra uomini e donne richiederebbe 134 anni.

Per ridurre questo divario, occorre un impegno concreto da parte di istituzioni e aziende per promuovere e garantire equità e inclusione.

Dal punto di vista delle aziende questo significa adottare un approccio di Diversity, Equity, Inclusion Management (DEI Management), che richiede di attuare un cambiamento culturale e organizzativo che impatta sulle singole persone, sui team e sull’organizzazione nel suo complesso.

Focalizzarsi sul tema del genere comporta lavorare sul concetto di Gender Awareness, accrescendo la sensibilità, la comprensione e la conoscenza sulla (dis)uguaglianza di genere, mostrando come valori e norme influenzano la nostra realtà, rinforzano gli stereotipi e supportano le strutture che producono o alimentano (dis)uguaglianze rispetto a:

  • Diritti
  • Scelte (autonomia)
  • Accesso alle Risorse (tempo, mezzi finanziari ed economici, spazio, informazioni, istruzione e formazione, lavoro e carriera professionale)
  • Suddivisione del potere (politico ed economico)
  • Partecipazione (politica, sociale, economica)
  • Molestie e Violenza

 

I 6 principali ostacoli alla parità di genere

Dagli studi e dalle ricerche da noi condotti per Fondazione Gi Group (Donne, Lavoro e Sfide Demografiche e Women4: superare le disparità di genere per un futuro del Lavoro Sostenibile), emergono 6 ostacoli principali alla parità di genere: condizionamenti culturali e organizzativi, barriere di accesso al mercato del lavoro, segregazione orizzontale, segregazione verticale, disparità retributive, impatto della genitorialità.

Proviamo a definire meglio ciascun tema per poterlo comprendere meglio.

  1. Condizionamenti culturali e organizzativi – stereotipi e pregiudizi, modelli di leadership e pratiche aziendali poco inclusivi ostacolano una vera equità. I principali fattori:
  • Cultura male bread winner: che si traduce in visione stereotipata donna-lavoro-famiglia, basata su una suddivisione sbilanciata dei carichi di lavoro famigliare e delle attività di cura (20 ore a settimana in più delle donne, visto le 4,9 ore al giorno che le donne dedicano alla cura della casa e della famiglia vs. le 2 ore al giorno degli uomini – Dati EIGE 2023), per cui esiste ancora un 25,4% di persone che ritiene che se c’è poco lavoro è giusto che venga dato agli uomini e un 54,1% di persone che sostiene che i bambini in età prescolare soffrano se la mamma lavora (European Value Survey 2017-2022);
  • Difficoltà di conciliazione vita-lavoro: il 69,5% delle dimissioni registrate nel 2024 in Italia e il 69,6% di quelle volontarie sono presentate da donne e di queste il 47,5% riporta motivazioni connesse alla mancanza o all’eccessivo costo dei servizi di cura. Il 30% sono causate da motivi connessi all’organizzazione del lavoro (Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri ai sensi dell’art. 55 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 Anni 2023 – 2024);
  • Mancanza di una cultura diffusa della trasparenza retributiva e della valutazione. Elementi, questi, che impattano sulla limitata propensione delle donne a negoziare, cambiare impiego o candidarsi a ruoli strategici.

 

  1. Barriere di accesso al mercato del lavoro – nonostante le donne tra i 15-64 anni costituiscano il 43% della popolazione in età lavorativa, risultano ancora fortemente sottorappresentate nel mondo del lavoro al punto da rendere l’Italia il paese europeo con il più basso tasso di occupazione femminile.
  • Il tasso di occupazione femminile in età tra i 15-64 anni, è pari al 53,4% contro il 71,1% maschile, a confronto con i dati in Unione Europea che arrivano al 66,2% di occupazione femminile;
  • Mentre il tasso di inattività femminile in età tra i 15-64 raggiunge il 42,4% rispetto al 24,4% degli uomini e il 23,9% di inattività femminile in relazione ai dati in Unione Europea;
  • Infine il tasso di part-time involontario per le donne in età tra i 15-64 anni in Italia è del 46,5% rispetto il 16,7% registrato in media fra le donne appartenenti ai paesi dell’Unione Europea.

 

  1. Segregazione orizzontale: le donne tendono a concentrarsi su percorsi di studio che aprono poi a occupazioni in settori con retribuzioni inferiori e scarse possibilità di avanzamento. Osservando i dati 2023 sui laureati, le donne rappresentano il 54,3% e sono l’88,9% dei laureati in discipline artistiche letterarie e dell’insegnamento. Considerando in complessivo le laureate donne, esse si concentrano in ambiti giuridici ed economici (36,1%), in ambiti educazionali, artistici e letterali (29%), mentre solo il 17,9% ha seguito discipline STEM e il 17% discipline sanitarie e agro-veterinarie. Al contrario gli uomini si laureano prevalentemente in discipline STEM (37,4%), economico giuridiche (36,8%), sanitarie e agro-veterinarie (16,7%) e solo il 9,2% in discipline educazionali, artistiche e letterarie.
    Nel 2023 le donne rappresentavano il 78,9% degli occupati in ambito assistenziale e sanitario e il 75,7% delle persone occupate nel settore dell’Istruzione (Dati INPS Osservatorio sui lavoratori dipendenti).

 

  1. Barriere alla crescita – Segregazione verticale (soffitto di cristallo) ossia le donne incontrano difficoltà nell’accedere alle posizioni di vertice. Dai dati INPS 2022 emerge infatti che:
  • Solo il 20,5% dei dirigenti in Italia è donna;
  • Le donne sono sempre più presenti nei CdA (43,7%), ma restano escluse dalle posizioni di vertice;
  • Nelle società quotate in Borsa, solo il 2% dei ruoli di amministratore delegato è occupato da donne. In quest’ottica è interessante da analizzare come, sempre secondo i dati INPS del 2023, si riscontri una maggiore presenza percentuale di donne impiegate rispetto al totale, mentre salendo nella catena gerarchica questa percentuale cali drasticamente (il cosiddetto fenomeno della “Leaky Pipeline”). Tutti questi sono fattori che influenzano in negativo la propensione delle donne a negoziare, cambiare impiego o candidarsi a ruoli strategici.

 

  1. Disparità retributive – Gender Pay Gap – Il divario retributivo di genere unadjusted in Italia, Gender Pay Gap (GPG), nel 2024 nella fascia di età (25-60) è pari al 10,6% ma cambia profondamente in base all’età: scendendo al 5.3% se consideriamo i giovani (25-30) e arrivando al 16,6% per la fascia di età 51-60. Nella fascia 25-60 GPG maggiore nelle famiglie professionali a prevalenza maschile quali Operations (13,5%) mentre risulta molto più contenuto nelle professioni a prevalenza femminile come HR (3,1%) (Osservatorio ODM Consulting). Secondo il WEF, l’80% del Gender Pay Gap è attribuibile alla penalizzazione legata alla maternità.

 

  1. Impatto della genitorialità – La genitorialità segna un divario significativo nei percorsi lavorativi tra uomini e donne, definendo un “Fatherhood premium” per i primi e una “Child penality” per le seconde. Stando ai dati INPS 2023:
  • Dopo la nascita di un figlio, il reddito delle madri può diminuire fino al 76%, mentre quello dei padri aumenta del 6%;
  • Il 75,4% delle dimissioni volontarie per motivi di cura proviene dalle madri, contro il 24,6% degli uomini;
  • Il 28% delle madri lascia il lavoro dopo il parto, il 27% passa al part-time, il 17% rinuncia alla carriera.

 

Gender Gap: non solo in azienda

Il Gender Gap non si presenta solo come dinamica aziendale, ma è un fenomeno sociale che compromette l’intero sistema della nostra comunità.

Ne abbiamo dimostrazione attraverso i dati del rapporto “Sesso è potere” (2025), a cura delle associazioni onData e Info.nodes che analizzano le disparità di genere nella politica, nell’economia, nei media e nella società.

  • Potere politico: la rappresentanza femminile nelle cariche di governo e amministrazione locale rimane significativamente limitata. Infatti, solo il 15% dei comuni ha una sindaca, mentre delle 20 Regioni italiane solo 2 sono presiedute da donne, dei 24 Ministeri, invece, 18 sono affidati a uomini e 6 a donne.

Anche nelle massime cariche parlamentari, sia alla Camera che al Senato, la leadership è detenuta da uomini, la presenza femminile si attesta al 33% alla Camera e al 36,6% al Senato.

  • Potere economico: tra le 34 società controllate o partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, soltanto 6 sono guidate da una CEO donna (17,6%).

Contemporaneamente delle 50 aziende a maggiore capitalizzazione e quotate in Borsa, gli uomini occupano posizioni di spicco in 48 casi, mentre solo 9 aziende (18%) hanno una presidente del Consiglio di Amministrazione donna.

  • Potere mediatico: in Italia, il 42% dei professionisti nel settore giornalistico è rappresentato da donne. Tuttavia, la presenza femminile tra le direttrici delle 50 principali testate nazionali si riduce drasticamente al 6% e situazioni analoghe si riscontrano anche nei principali telegiornali e nelle agenzie di stampa.
  • Potere nella società: nelle autorità indipendenti, negli enti di ricerca pubblici e nelle università si riscontra una chiara predominanza maschile nelle posizioni di leadership. Questa maggioranza di uomini guida, pertanto, anche settori strategici quali lo sviluppo delle competenze, la ricerca e la supervisione delle istituzioni.

 

Impegno europeo per la parità di genere

Anche l’Unione Europea riconosce l’importanza di contrastare il Gender Gap e riportare parità nel mondo sociale ed economico, attraverso recenti azioni a livello normativo.

Negli ultimi anni l’UE ha posto forte attenzione sul tema della parità di genere in primis attraverso la Strategia Europea per la Parità di Genere 2020–2025, con cui invita gli stati membri a un impegno concreto per eliminare la violenza di genere, combattere gli stereotipi, ridurre il divario retributivo e pensionistico e aumentare la partecipazione femminile nei settori economici e decisionali.

Nel 2024 ha introdotto la Direttiva (UE) 2024/1499 parità di trattamento tra le persone indipendentemente da razza, origine etnica, religione, disabilità, età, orientamento sessuale e la Direttiva (UE) 2024/1500 per la parità di donne e uomini nell’occupazione.

Di estrema importanza anche l’adozione della Direttiva UE 2023/970 che prevede obblighi di trasparenza retributiva per assicurare la parità di retribuzione tra uomini e donne per lo stesso lavoro o per lavoro di pari valore.

Questa regolazione emanata, il 10 maggio 2023 richiede ai paesi membri di introdurre, entro giugno 2026, nei rispettivi ordinamenti, azioni necessarie per rendere effettiva la normativa.

Questa direttiva rappresenta un importante passo in avanti nella battaglia al Gender Pay Gap, in quanto obbliga le imprese a rendere disponibili e accessibili alle lavoratrici e ai lavoratori informazioni precise e trasparenti sulla politica retributiva e sulle linee guida utilizzate per calcolare la retribuzione e l‘equità di sviluppo della carriera professionale.

 

 

 

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